Pizza Patrimonio Unesco

LA PIZZA NAPOLETANA E IL FORNO D'ORO

Dal 2008 portiamo a Rimini i valori e il gusto della vera pizza napoletana. I nostri pizzaioli, tutti di origine napoletana, capitanati dal pluripremiato Ferdinando Percoco, usano esclusivamente prodotti freschi e provenienti da produttori selezionati e seguono un iter rigoroso che parte dalla lavorazione fino alla lievitazione per 24 ore e alla cottura in forno a legna d’oro e caratteristico brevettato Rossopomodoro . Il risultato è una pizza sottile e digeribile ma carica di sapore, con cornicione soffice e fragrante come da tradizione che risulta molto apprezzata dai nostri ospiti. Inoltre grazie alla passione di Angelo Ianniello, quest’anno premiato al “Campionato mondiale pizza gourmet gluten free”, possiamo proporre le nostre pizze anche con farine speciali senza abbassare la qualità di prodotto.

LA STORIA DELLA PIZZA

La storia della pizza ha origini che si perdono nell’antichità: sin dal neolitico vi era l’usanza di cuocere dei dischi di pane con ingredienti sopra, pratica che si è evoluta fino a dare vita alla pizza nelle bettole di Napoli e alla sua più moderna forma nella pizza Margherita. 
Si tratta di un prodotto con un giro di affari mondiale che supera i 60 miliardi di euro, che vede aumentare di giorno in giorno la varietà e il numero di clienti che vogliono assaggiare pizza di ottima qualità. 
Il successo di questo piatto gastronomico è tale che recentemente è stato riconosciuto come patrimonio dell’umanità UNESCO.

L’INTRODUZIONE DELLA LIEVITAZIONE

Sin dal neolitico l’uomo aveva scoperto di poter creare cibi nutrienti poggiando un disco di cereali tostati su piani cottura. Si trattava perlopiù di vegetali coltivati direttamente dall’uomo, con mezzi semplici e grezzi: farro, orzo, legumi e lino.
Per avere la prima lievitazione, passo fondamentale per la preparazione di un’ottima pizza, bisognerà aspettare l’intervento degli Egizi: fu questo il primo popolo a scoprire che i cereali macinati e lasciati riposare diventavano più gustosi e digeribili dopo la cottura, creando di fatto la prima forma di pane.

NASCITA DEL TERMINE NEL VII° SECOLO D.C.

Il passo successivo è l’introduzione del frumento nelle coltivazioni europee per opera degli antichi romani: i contadini usavano macinare i chicchi di frumento con acqua, sale ed erbe aromatiche formando poi una focaccia rotonda da cuocere sul focolare. Ma bisogna arrivare alle invasioni dei Longobardi per l’introduzione del termine germanico “bizzen”, che voleva dire morso: i linguisti individuano in questo termine l’origine del più moderno “pizza”.
Difatti il termine “piza” compare per la prima volta, riferendosi a una focaccia, nel Codex Cajetanus di Gaeta, un testo in latino medievale. Conservato nel Duomo di Gaeta vi è riportato come ogni anno gli affittuari dovessero pagare ai padroni di casa “duodecim pizze” a Natale e a Pasqua oltre il regolare affitto.
Intorno all’anno Mille si registra l’uso del termine picea, riferito a un disco di pasta ricoperto da ingredienti colorati prima essere mandato in forno: termine che poteva rappresentare un sinonimo all’alternativa al più comune pizza, già diffuso in tutto il Sud d’Italia per indicare anche le schiacciate condite al forno, focacce ripiene e dischi di pasta ripieni e fritti.
Si parla di pizze anche in un documento di Penne in Abruzzo datato il 1195.

LA DIFFUSIONE NEL PERIODO MEDIEVALE

Dal 1300 in poi l’utilizzo del termine pizza si diffonde ulteriormente: nella Curia romana si legge “in panetteria, scilicet guindalis, pizi, caseo, lignis in un testo dell’Aquila “pissas quatuor et fladonem unum” con riferimento al fladone, un tipico prodotto abruzzese e molisano “piczas casey, pizzas de pane” da un documento di Celano datato 1387-88 “piza panis” viene usato nel cancelleresco di Pesaro del 1531.

ORIGINI NAPOLETANE E BASILICO

La diffusione del termine pizza diventa quindi inesorabile, dove a Napoli sostituisce persino il termine focaccia secondo il poeta e saggista Benedetto di Falco.
Nel 1570 Bartolomeo Scappi, allora cuoco personale di Papa Pio V, cita nella sua Opera la pizza ma si riferisce a un dolce ottenuto pestando mandorle, pinoli e datteri in un mestolo, aggiungendo anche fichi freschi, uva passa con acqua di rose, zucchero, cannella, mosto d’uva e rosso d’uovo. Ma sottolinea come il principio di base resti sempre “in essa pizza si può mettere d’ogni sorte condite”. Arrivati al Seicento c’è il Cunto de li Cunti, un’operetta napoletana scritta da Giovan Battista Basile composta da storielle collegate l’una all’altra: una è intitolata “le due pizzelle” e recita in un passo “fra tanto, partuto lo marito, essa, ch’era cossì cannaruta come potrona, non attese a d’autro c’a pigliare mappate de farina ed agliare d’uoglio ed a fare zeppole e pizze fritte”. Nel frattempo la ricetta della schiacciata tradizionale si evolve e si raffina, diffondendosi in tutto il Meridione: l’olio di oliva sostituisce lo strutto, si aggiunge il formaggio e le erbe aromatiche. È il periodo in cui il basilico fa la sua apparizione nella pizza “alla Mastunicola” (del maestro Nicola) e non lascerà mai più la lista degli ingredienti rimanendo oggi simbolo della pizza napoletana.

DAI TAVOLI DEL POPOLO FINO A QUELLI NOBILI

L’arrivo del pomodoro intorno alla seconda metà del ‘700 è il passo successivo per il completamento della pizza moderna: inizialmente utilizzato solo come pianta decorativa questo frutto nativo dell’America Centrale diventerà protagonista delle tavole italiane, comparendo prima sulla pizza e poi, nel 1773, sui maccheroni. A testimoniare l’usanza dei napoletani di condire la pasta e la pizza con il pomodoro abbiamo la testimonianza scritta del filosofo e letterato italiano Vincenzo Corrado. Era stato fino a quel momento un piatto povero, preferito dal popolo e che non trovava spazio sulle tavole dei nobili: qualcosa cambiò con l’arrivo di Ferdinando I di Borbone, il quale la fece assaggiare alla consorte Maria Carolina e le sue dame di corte con un certo successo. Sono di quel periodo alcune ceramiche utilizzate per cuocere la pizza, utilizzate probabilmente da Antonio Testa, miglior pizzaiolo di Napoli, che venne assunto come cuoco di corte. Del 1858 invece un testo che descrive la ricetta e il procedimento per la preparazione della vera pizza napoletana: si parlava con precisione di come trattare e stendere la pasta, usando un mattarello o le mani per renderlo morbido e appetitoso.

IL TERMINE PIZZAIOLO E LA REGINA MARGHERITA

Ne parla anche Francesco de Bourcard nel suo Usi e Costumi di Napoli, autore che sembra citare anche una sorta di pizza margherita ante litteram: “...sono coperte di formaggio grattugiato e condite collo strutto, e vi si pone di sopra qualche foglia di basilico. Si aggiunge delle sottili fette di mozzarella”.
Viene introdotto nel 1884 il termine pizzaiolo, presente anche nello Zingaretti del 1922 come “chi fa e vende pizze a Napoli”, e nascono anche i primi tentativi di esportare questo prodotto gastronomico fuori dalla sua città d’origine. Racconta infatti Matilde Serao di come un industriale napoletano provò ad aprire una pizzeria a Roma, ma fallì miseramente dopo un inizio positivo: fuori da Napoli la pizza continuava a sembrare completamente fuori luogo.
È del giugno 1889 la leggenda che vuole come il cuoco Raffaele Esposito, proprietario della pizzeria Brandi, propose la prima versione della pizza Margherita alla moglie di Umberto I di, Margherita di Savoia. La sua preferita fu proprio quella che ne prese il nome, ovvero la pizza condita con pomodori, mozzarella e basilico pensata per rappresentare anche il tricolore.
Le altre pizze cucinate in quell’occasione furono: la bianca con strutto, basilico e pepe, detta Mastu Nicolala pomodoro, alici, aglio, origano e olioil calzone fritto con ricotta e cicoli.

PIZZA E CULTURA SI DIFFONDONO

Avvicinandosi ai giorni nostri aumentano i riferimenti alla pizza in tantissimi contesti culturali: nel 1891 Pellegrino Artusi riporta tre tipi di pizza dolci nella sua opera classica “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Nel 1900 Raffaele de Cesare scrive nel suo saggio storico La fine di un regno il passo “A Federico II, napoletano in tutto, piacevano quei cibi grossolani, dei quali i napoletani son ghiotti: il baccalà, il soffritto, la caponata, la mozzarella, le pizze”. Nel 1905 compare nel dizionario Moderno edito da Hoepli la dicitura di “Pizza: nome volgare di vivanda napoletana popolarissima”.

IL VOCABOLARIO E LE RICETTE ORIGINALI


Il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana suggerisce nel 1907 che il termine pizza derivi dal latino “pinza/pinsere”, ovvero schiacciare, che è anche il termine usato per un dolce di farina e frutta secca, cucinato al forno, di origine veneta e friulana. Altri suggeriscono derivi dal greco medievale “pita”.Nella collezione di ricette regionali scritta da Ada Boni nel 1929 (Il talismano della felicità) viene inclusa la ricetta della pizza canonica. Nel mese di maggio del 1984 vecchi pizzaioli napoletani si riuniscono dal notaio Antonio Carannante per firmare un breve disciplinare sulle regole per la stesura dell’impasto. Nel 2004 il Parlamento Italiano stabilisce con precisione quali tipi di farina, lievito, sale e pomodori sono utilizzabili per realizzare la vera pizza Margherita, stabilendo che la mozzarella deve necessariamente venire dalle zone geografiche tradizionali.

LA PIZZA PATRIMONIO MONDIALE DELL’UNESCO

Le ultime notizie internazionali sulla pizza sono relative al suo riconoscimento come Specialità tradizionale dell’Unione Europea il 5 febbraio, dopo la votazione del 2009 a cui per motivi ignoti solo la Polonia si è astenuta. Viene determinata la ricetta tradizionale e gli ingredienti che la rendono tale ma la vera pizza resta quella che si può consumare a Napoli, con ingredienti coltivati in quella regione e con la mozzarella di bufala di prima qualità. Ancora oggi nonostante tutte le varietà e gli ingredienti utilizzati la vera ricetta riconosciuta è quella tradizionale, e le pizze più elaborate sono quasi considerate dannose per lo stomaco dai pizzaioli napoletani. Il successo della pizza continua incontrastato: nel 2010 Julia Roberts ne gusta una nel film Mangia, prega, ama. Viene consacrata nel mondo grazie al cinema una pizza verace, tradizionale con una scena girata nell’Antica pizzeria da Michele a Forcella, storico quartiere popolare di Napoli. Famiglia di tradizione pizzaiola, aprirà successivamente a Roma in Via Famiglia, in Giappone a Tokyo e Fukuoka, a Londra in Baker Street, a Barcellona e sostituirà il ristorante aperto a Milano da Joe Bastianich e Belen Rodriguez. L’ultimo riconoscimento della pizza nel mondo è avvenuto dal 4 all’8 dicembre 2017 in Corea del Sud, dove il Comitato Intergovernativo UNESCO l’ha inserita tra i patrimoni culturali da salvaguardare dopo un iter di 7 anni.
Icona – Telefono
Vuoi provare la pizza napoletana della tradizione ?
Chiama
o ordina direttamente su THEFORK
Prenota un tavolo
Share by: